The antisocial network – di Paul Krugman

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L’economista statunitense Paul Krugman

Proponiamo di seguito un articolo dell’economista statunitense Paul Krugman, pubblicato dal New York Times del 14 aprile 2013. Il titolo ossimorico scelto dall’autore preannuncia la contraddittorietà che, secondo Krugman, talvolta caratterizza l’atteggiamento degli agenti economici nei confronti delle istituzioni finanziarie, le quali vengono spesso dipinte come soggetti prevaricanti colpevoli di abusare della propria posizione dominante.

L’oggetto attorno al quale gravita la riflessione di Krugman consiste nella moneta Bitcoin, una moneta elletronica creata nel 2009 da Satoshi Nakamoto, la cui grande novità consiste nell’essere totalmente svincolata da qualsiasi autorità monetaria. La logica alla base di Bitcoin prevede infatti che non vi sia un’autorità centrale che distribuisce nuova moneta o controlla le transazioni di denaro: le operazioni sono infatti gestite collettivamente dal network, in modo che non sia necessario fidarsi di terzi soggetti per la gestione delle proprie transazioni. Un’ulteriore differenza rispetto ai sistemi convenzionali di commercio elettronico consiste nel fatto che le operazioni effettuate con il sistema Bitcoin non lasciano dietro di sé alcuna traccia, garantendo pertanto l’assoluto anonimato. Per citare Krugman, “Quando un soggetto trasferisce Bitcoins a qualcun altro, è come se gli consegnasse una valigia contenente 100 miliardi di dollari in un vicolo buio”. Chiaramente, la proiezione digitale del “vicolo buio” porta con sé anche tutte le relative azioni illegali, che vengono così “protette” dall’anonimato.

L’analisi di Krugman parte dall’osservazione del recente andamento del fenomeno Bitcoin, caratterizzato da una drastica ascesa nel giro di poche settimane, seguita però dal repentino crollo che ha visto dimezzarsi, nel giro di qualche ora, il prezzo di Bitcoin. Oscillazioni di tale calibro portano a porsi delle domande sulle cause di una bolla che è esplosa e si è consumata nel giro di alcune settimane.

Secondo Krugman, l’esigenza di creare una rete sociale di scambi al riparo dal monopolio delle banche centrali nasce dalla condivisa convinzione che i governi stiano largamente abusando del proprio potere di emittenti di moneta. Il valore di Bitcoin è determinato da quelle che in economia vengono definite “aspettative che si auto-adempiono”: la credenza, cioè, che la gente accetterà questa nuova forma di moneta come mezzo di pagamento.

Una volta chiarita l’esigenza collettiva che ha portato alla creazione di Bitcoin, Krugman propone due di quelli che secondo lui sono stati i fraintendimenti che hanno indotto in errore gli agenti economici, rendendo fallimentare il sistema Bitcoin: uno è di natura pratica, mentre l’altro, il più importante, attiene alla sfera filosofico-psicologica.

Il primo giudizio erroneo attiene alla persuasione che ci troviamo a vivere e ad agire in una fase di irresponsabile emissione di moneta, caratterizzata dal costante pericolo di un’inflazione fuori controllo.

Il secondo, spiega l’ossimoro contenuto nel titolo dell’articolo: che senso ha considerare la moneta, che per definizione è un’ “invenzione sociale”, come un fattore esogeno al sistema? Il modello auspicato dai fautori di Bitcoin, in realtà si auto contraddice. Ipotizzare un sistema monetario libero dalla fragilità umana è irrealistico, poiché la moneta è un fattore che nasce dalla società stessa, e da essa è imprescindibile.

Krugman propone in questa sede un’interpretazione al fenomeno Bitcoin e al suo repentino collasso.

Per leggere l’articolo: http://www.nytimes.com/2013/04/15/opinion/krugman-the-antisocial-network.html?partner=rssnyt&emc=rss&_r=0



Categorie:dell'economia

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